Belle parole e frasi di circostanza non ci bastano quando rischiamo ogni giorno di non tornare a casa perché uccisi dalle modalità con cui siamo costretti a lavorare

All’indomani della Giornata nazionale dei morti e degli infortuni sul Lavoro abbiamo assistito a bei discorsi e all’ennesima passerella istituzionale, nessuna proposta concreta è stata fatta. Parole di vicinanza e vuote manifestazioni sono inutili quando poi si resta in silenzio di fronte ai continui abusi perpetrati da aziende e datori di lavoro.

In Italia, i lavoratori uccisi sono in media quattro al giorno, da Gennaio ad oggi sono stati uccisi 1181, di cui 782 sul luogo di lavoro, gli altri nel tentativo di raggiungerlo o lasciarlo, sono già 7 in più rispetto all’intero 2022 (dati dell’Osservatorio di Bologna). Gli infortuni, spesso con esiti gravissimi e invalidanti per tutta la vita superano i 700 mila l’anno. Nessuno di questi è provocato da disattenzione o dalla casualità che un incidente possa accadere, sono tutti la conseguenza diretta delle condizioni di lavoro.

Pesa innanzitutto la sproporzione fra i carichi di lavoro e la capacità umana di sopportarlo, non dimentichiamo mai i braccianti, stroncato dal caldo, dopo 10 ore di lavoro sotto il sole o i commessi, travolti da muletti non funzionanti o stritolati nelle loro auto, mentre tentano di tornare a casa dopo l’ennesimo straordinario non riconosciuto.

Nelle fabbriche, i macchinari sono vecchi e pericolosi, mai sottoposti al dovuto adeguamento. Gli impianti di sicurezza, studiati appositamente per impedire che gli operai vengano risucchiati o travolti, non sono messi in funzione perché rallenterebbero il ritmo produttivo.

Ogni tanto, quando avviene una strage o il lavoratore è giovane o genitore da poco, assistiamo alle lacrime di comodo del politico di turno che poi fa finta di ignorare che il 35% del Pil nazionale proviene proprio dall’economica sommersa, fatta di lavoro grigio, con contratti precari a pochissime ore settimanali o completamente in nero, in cui non esistono diritti. Il cappio del licenziamento o del mancato rinnovo stritola tutti i lavoratori che chiedono il rispetto della normativa. Perché una normativa su salute e sicurezza esiste, emanata nel 2008 invece del ‘79, un’attesa di trent’anni per una legislazione fra le migliori in Europa che però non viene applicata. Mancano infatti i sistemi di controllo e sanzionamento, un’azienda ha una probabilità ogni vent’anni di subire un’ispezione, grazie al continuo svuotamento degli enti di controllo.

In base alle dichiarazioni dell’Ispettorato del lavoro di Viterbo, nonostante le aziende controllate siano un campione vi è un tasso di irregolarità altissimo. Nel settore edilizio, solo per fare un esempio, il 98% delle ditte non rispetta la normativa.

Molti datori si sono addirittura rifiutati di fornire la documentazione richiesta, questo esprime bene quale sia la paura delle aziende di subire sanzioni o chiusure in caso di abusi.

Nessun governo si è attivato in proposito, anzi, la cancellazione del Reddito di Cittadinanza ha tolto quel poco di autonomia alle persone per rifiutare lavori sottopagati, dai 3 ai 5 euro l’ora o pericolosi. Sappiamo che l’Italia è il Paese che ha in proporzione agli abitanti più forze dell’ordine, eppure questo personale non viene impiegato né qualificato per il controllo sulla sicurezza e la regolarità del lavoro.

Se partiti e governi hanno paura o guadagnano dall’economia sommersa, i lavoratori NO e siamo pronti a lottare perché il lavoro sia davvero espressione di se stessi, riscatto e produzione di ricchezza per la collettività, non certo profitto per pochi e morte per gli altri.

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